No, probabilmente, quelle tra PMI. Per le grandi imprese…

Le reti d’impresa sono certamente intese che possono rientrare tra quelle vietate dall’art. 101 TFUE e dall’art. 2 Legge 287/90. Entrambe le disposizioni, però, prevedono una soglia minima.

Nell’Unione Europea, l’art. 101 TFUE vieta le intese che possono pregiudicare il commercio intracomunitario e che abbiano per oggetto o effetto impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato unico. La Corte di Giustizia ha precisato, fin dal caso Völk (sentenza 9 luglio 1969, causa n. 5/69) che “l’accordo non ricade sotto il divieto dell’articolo 85 [ora 101] qualora, tenuto conto della debole posizione dei partecipanti sul mercato dei prodotti di cui trattasi, esso pregiudichi il mercato in misura irrilevante.

In Italia, l’art. 2 Legge 287/90 vieta le intese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (sentenza 4 febbraio 2005, n. 2207) ha precisato che ambito nazionale conta “…il rilievo dimensionale della fattispecie, che si spiega con il fatto che oggetto della tutela della legge n. 287 del 1990…è appunto la struttura concorrenziale del mercato di riferimento, la quale ragionevolmente non viene messa in discussione da un comportamento che per quanto ontologicamente rispondente alla fattispecie di cui si tratta, per la sua dimensione, non incide significativamente sull’assetto che trova”.

In ottica antitrust possiamo ipotizzare le reti verticali, come quelle che raggruppano i diversi soggetti di una filiera, e le reti orizzontali, che raggruppano concorrenti.

Quanto alle reti orizzontali, la recentissima Comunicazione della Commissione sugli accordi di cooperazione orizzontale dice che “Se le parti detengono un’esigua quota di mercato congiunta, è improbabile che l’accordo di cooperazione orizzontale produca effetti restrittivi sulla concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, e non occorrerà, di norma, procedere ad un’analisi più approfondita. Che cosa si intenda per «un’esigua quota di mercato congiunta» dipende dal tipo d’accordo in questione e può essere desunto dalle soglie «di sicurezza» precisate in vari capitoli delle presenti linee direttrici e, più in generale, dalla comunicazione della Commissione relativa agli accordi di importanza minore…” (par. 44).

Quanto alle reti verticali, la Comunicazione de minimis la Commissione afferma che “È generalmente ammesso tuttavia che gli accordi fra PMI.. sono raramente di natura tale da influenzare sensibilmente il commercio fra Stati membri. Piccole e medie imprese ai sensi di detta raccomandazione sono attualmente considerate imprese con meno di 250 dipendenti e aventi un fatturato annuo inferiore a EUR 40 milioni ovvero un totale di bilancio inferiore a EUR 27 milioni”.

La quota di mercato indicata dalla Commissione è, di regola, del 10% per le intese tra concorrenti e del 15% per le intese tra non concorrenti (quote complessive delle parti dell’intesa). Per gli accordi verticali tra imprese che non rientrano nella categoria de minimis, vedi qui. Per gli accordi di trasferimento di tecnologia, vedi qui.

In sintesi, per usare le parole della Commissione le reti tra PMI sono raramente di natura tale da influenzare sensibilmente il commercio fra Stati membri”. La situazione può ovviamente essere diversa nel mercato nazionale, dove è più agevole raggiungere quote di mercato significative.

Ma quante PMI sono in questa situazione? Poche probabilmente, e basterà un po’ di cautela, e molto di studio del diritto antitrust, per non avere troppi problemi.

Per le grandi imprese la faccenda è più complicata…