Domani è il grande giorno!

L’entrata in vigore della norma che prevede la mediazione obbligatoria – che come dicevo nel precedente post non mi appassiona affatto – mi ha costretto a studiare il tema.

Fortunatamente la Rivista di diritto industriale ha dedicato, immediatamente dopo l’entrata in vigore del D.Lgs.28/2010, nel fascicolo numero 3 del 2010 la sezione Articoli, saggi, studi, al tema, con articoli di Sena, Vanzetti e Cartella.

Il Prof. Sena, nel saggio “Note critiche sul procedimento di mediazione e conciliazione – Sua disapplicazione alla proprietà industria e intellettuale” esclude che la proprietà industriale rientri tra i diritti reali soggetti a mediazione obbligatoria perché “La proprietà sui beni immateriali non è un diritto reale, poiché manca la materialità dell’oggetto, manca appunto la res” (pag. 170), nonostante diversi indici legislativi parlino di proprietà:  oltre al Codice della proprietà industriale, il Regolamento sul marchio comunitario (considerando 11, art. 16.1, art. 21.2) e la Convenzione sul Brevetto Europeo, il cui Capitolo IV della Parte II è intitolato “Della domanda di brevetto europeo come oggetto di proprietà”.

Il Prof. Vanzetti, nel saggio “Diritti reali e proprietà industriale (..e mediazione obbligatoria)”, evidenzia che la Relazione al D.Lgs.  28/2010 collega i diritti reali “alla stessa area territoriale”, mostrando come i diritti in questione siano solo quelli su beni materiali. L’articolo prosegue con la storia della qualificazione delle azioni a tutela dei marchi come azioni reali, contrapposte a quelle a tutela della concorrenza sleale come azioni personali, e ricorda come il fondamento di questa ancor oggi diffusaconvinzione si rinvenga in una sentenza del 1929 sul Martini cocktail. Il Prof. Vanzetti ricorda come la concorrenza sleale fosse, prima del codice civile del 1942, una “pura creazione giurisprudenziale” di un illecito aquiliano (per i non addetti ai lavori: extracontrattuale). L’azione poteva essere definita personale, quindi, perchè poteva dare luogo soltanto ad una tutela risarcitoria, al contrario dell’azione di contraffazione del marchio registrato, che veniva definita reale “con riferimento assai più all’assolutezza (“fine a se stessa”) che non a una realità propriamente intesa” (pag. 176). Nel codice del 1942 è stato introdotto l’art. 2598, per cui, continua l’Autore, l’azione di concorrenza sleale non attiene più solo ad un diritto personale, ma anche ad un diritto assoluto: può essere esperita nei confronti di una pluralità di soggetti (i concorrenti) e non è più condizionata all’esistenza di un danno, visto che l’inibitoria (la principale sanzione) ne prescinde (pag. 177).

Un equivoco storico, dunque, il carattere reale della tutela del marchio registrato che la definizione di proprietà industriale non aiuta a superare, visto che nel nostro sistema la proprietà è il diritto reale per eccellenza (pag. 178). Ma, osserva il Prof. Vanzetti, la proprietà è un diritto pieno e assoluto su un bene, e beni sono le cose che possono costituire oggetto di diritti (art. 810 c.c.): cose immobili (art. 812, primo e secondo comma) e cose mobili (terzo comma). Tutte materiali (a parte le energie, art. 814). Insomma, prosegue l’articolo “il libro III del codice civile [è] tutto orientato alla considerazione delle cose materiali e contenente una disciplina nella più parte applicabile solo a queste ultime” (pag. 179).

In conclusione, la proprietà industriale è una “proprietà , cioè appunto diversa ada quella tradizionale” (pag. 180) e viene usata come sinonimo di “diritto assoluto, di esclusiva…[al quale]…è estraneo qualsiasi elemento di realità” (pag. 183).

Difficile non essere d’accordo con il Prof. Vanzetti, sia per l’autorevolezza della fonte che per gli argomenti utilizzati. Speriamo che anche i giudici seguano questo insegnamento, e non si fermino al dato formale – il nome del codice – per finalità deflattive che non renderebbero giustizia a nessuno.